21 Ott La Maledizione Marziana: Il punto di Gasparri.
Condivido con piacere l’articolo di Daniele Gasparri. Amico e studioso di questa bellissima materia. Non nego che le stesse parole le vorrei aver scritte io. Leggete con calma e con cura. E meditiamo gente, meditiamo.
Ovviamente consiglio la lettura del suo blog http://danielegasparri.blogspot.it/
Daniele Gasparri in:
La maledizione marziana e un progresso che forse non meritiamo
Amo l’astronomia, l’astrofisica e naturalmente l’esplorazione spaziale. Amo queste materie non come un adolescente può prendere una cotta irrazionale per una ragazza ma, al contrario, è proprio l’estrema razionalità che ho dentro a farmi amare ambiti in cui l’uomo mette alla prova la sua conoscenza, la sua voglia di progredire e di risolvere problemi, siano essi grandi come una galassia o piccoli come bere un bicchier d’acqua. Amo la scienza, tutta, perché senza di essa, tutta, staremmo ancora a cercare un modo per accendere un fuoco, per non far morire i nostri figli poco dopo la nascita o per evitare malattie catastrofiche come morbillo, polio, vaiolo, peste. Insomma, se ad accoglierci c’è il più bel presente della storia degli esseri umani, con la prospettiva di un futuro migliore, non è un caso ma il frutto indissolubile del progresso scientifico dell’uomo, della voglia e della capacità, almeno per alcuni, di guardare oltre il dito che punta un problema per cercare di risolverlo, in modi e tempi imprevedibili. È un approccio che funziona, che ha sempre funzionato e che funzionerà, almeno finché ci sarà qualcuno che sarà in grado di vedere al di là della propria mano.
Rappresentazione artistica di TGO e Schiaparelli
Spesso il lavoro di chi fa ricerca o di chi la divulga, soprattutto nell’ambito astronomico e spaziale, è avvolto da un pesante velo di indifferenza e ignoranza, un mix che ci consente di fare il nostro lavoro, sebbene con un po’ di latente frustrazione, in tranquillità e al riparo dal clamore mediatico che è in grado di creare sempre più problemi che soluzioni. Spesso, ma non sempre: non avrei mai pensato che quelle poche volte che astrofisici e ingegneri spaziali fossero venuti alla ribalta sarebbe stato per subire un’onta peggiore della più assordante indifferenza.
La notizia naturamente riguarda l’arrivo su marte della prima spedizione del programma ExoMars dell’ESA e il fallimento del lander Schiaparelli, che a quanto pare si è schiantato sulla superficie del pianeta rosso.
Mi sono sentito in dovere di scrivere due parole, che poi due non sono, ma spero che il tempo che ruberò alle vostre vite sarà stato speso bene.
ExoMars è davvero un fallimento?
A livello tecnico è inutile scaldarsi. L’ESA aveva già messo in chiaro la questione da anni, non da giorni, come dice qualche commentatore della domenica. La missione ExoMars prevedeva un orbiter, detto TGO, e una piccola sonda da usare solo come test tecnologico per le fasi di atterraggio, denominata Schiaparelli. La missione principale, di gran lunga più importante, è quella di TGO, tanto che Schiaparelli non era stato dotato neanche di pannelli solari: sarebbe quindi morto dopo qualche giorno sulla superficie di Marte, una volta che le sue batterie si sarebbero scaricate. Il piccolo lander era così semplice a livello scientifico che non era neanche predisposto a catturare immagini della superficie, visto che era dotato di una fotocamera in bianco e nero che avrebbe dovuto riprendere solo le ultime fasi della discesa. Insomma, a prescindere dalle opinioni, Schiaparelli era davvero solo un test, quindi dire che tutta la missione è un fallimento rappresenta ormai una consapevole bugia che sarebbe meglio smettere di raccontare. La sonda madre, infatti, TGO, è in ottima forma e rappresenta una pietra miliare per l’ambizioso piano di esplorazione dell’ESA dei prossimi anni.
E anche se lo fosse, è la ricerca, baby
Le previste fasi di discesa di Schiaparelli
Naturalmente se Schiaparelli si è schiantato, non tutto è andato come doveva, anche se il suo apporto scientifico alla missione, sul suolo di Marte, era quasi nullo. Quello che sappiamo è che i retrorazzi non sembrano aver funzionato per il tempo previsto e che forse il paracadute non si è aperto quando avrebbe dovuto. La chiarezza sulle delicate vicende dell’ultimo minuto di vita del piccolo lander verrà alla luce nelle prossime settimane e sarà ricca di dettagli e particolari, com’è giusto che sia. Quello che possiamo dire al momento è che così funziona la ricerca. Quando ci si avventura in un campo nuovo, gli errori non solo sono inevitabili ma fanno parte del gioco: che ricerca sarebbe se andassimo a colpo sicuro e sapessimo esattamente cosa fare e come farlo? L’esplorazione e la ricerca hanno in comune la conoscenza dell’ignoto: se si sa già cosa ci aspetta, cosa può andare storto e come affrontare ogni situazione non stiamo facendo ricerca ma qualcosa di già conosciuto. Non è un caso che Schiaparelli fosse un test: si dovevano provare le procedure e gli accorgimenti per fare qualcosa che all’ESA non hanno mai fatto. È la ricerca, baby, che insegna anche qualcosa molto utile nella vita di tutti i giorni: il fallimento è un modo per capire la strada da prendere, gli errori da evitare, le correzioni da effettuare. È così che si impara, che ci si evolve: può non piacerci ma così funziona tutto il mondo, persino la Natura (la parola evoluzione non vi dice niente?).
Il fallimento di Schiaparelli non è il primo e neanche l’ultimo: più della metà delle missioni dirette verso Marte, sin dalla metà degli anni 60, è fallita e solo gli americani sono riusciti a far atterrare qualcosa sulla superficie sano e salvo. Si parla di maledizione marziana, ma la realtà è che atterrare su Marte è molto complicato e richiede dei sistemi di guida autonoma (vi dice qualcosa questo termine? Se ne parla anche nella vita di tutti i giorni ormai) molto precisi e affidabili. E’ questo il gusto della sfida, la naturale attrazione per qualcosa di quasi impossibile ma terribilmente affascinante, per un sogno che in un primo momento sembra irrealizzabile ma poi, chissà, potrebbe funzionare. E’ un’attrazione che ci regala un perenne brivido lungo la schiena e ci rende felici di essere vivi. Che gran peccato, invece, per chi non riesce a emozionarsi per imprese di tale portata, perché manifesta una triste aridità interiore.
Potere all’ignoranza
La storia del progresso umano è sempre stata trainata da un gruppo di persone, che oggi chiamiamo ricercatori, esploratori o visionari, limitatissimo rispetto alla popolazione mondiale, che con le proprie idee, intuizioni e battaglie ha fatto progredire tutta l’umanità verso un benessere che nella storia non ha mai conosciuto uguali. È normale quindi che tutta l’umanità si regga su un manipolo di centinaia di migliaia, forse qualche milione, di persone che dedicano la propria vita alla ricerca, alla scienza. Perché, d’altra parte, è sicuro che senza scienza l’uomo non può progredire, in alcun modo. Non stupiscono, quindi, certe critiche, quelle che si ricevono nel peggior bar di Caracas tra uno shot di rum e l’altro: in un certo senso è una manifestazione folkroristica dell’essere umano su cui ci si possono fare due risate. Ma nel mondo attuale, globalizzato, unito dal comune rumore di fondo dei social network che danno voce a tutti, con il medesimo diritto, e dell’informazione che invade le nostre vite lasciandoci in pace solo quando dormiamo, l’aspetto folckoristico si è trasformato in una pericolosa caccia alle streghe, alimentata da un’immensa ignoranza
Un’ignoranza inconsapevole, distorta dalla realtà che si sceglie di osservare, da rendere arroganti al punto di sentirsi in dovere di esprimere un’opinione, spesso intrisa di odio e disprezzo verso quegli “scienziati incompetenti”, loro che hanno studiato per anni quando bastava frequentare l’università della vita, per capire come va il mondo. Un’opinione che nella mente di molti risuona così importante e pomposa da reputare un dovere il fatto di esprimerla, non più un mero diritto che spetterebbe alla propria coscienza se rendere pubblico o meno.
Anche i miei nonni erano ignoranti, ma lo sapevano. Ecco perché quando il dottore gli diceva di fare un vaccino, loro, senza capire come funziona un vaccino e senza mettere in dubbio la sua efficacia, ascoltavano il dottore perché: “Lui ci capisce, altrimenti non ci vado”. Oggi chi non capisce come funziona una cosa è perché ha un’idea propria e distorta, della quale si è innamorato come un tossicodipendente cronico della dose della mattina, che sente in dovere di sbandierare a tutto il mondo, perché alla fine: “Io sono io e voi non siete un cazzo!” è una frase che molti universitari della vita, coloro che si informano su siti internet che parlano di scie chimiche e sbarchi lunari farlocchi, pensano davvero.
Questo oceano in tempesta dell’esaltazione della propria ignoranza, di una carenza di intelletto scambiata per indipendenza di pensiero, ha travolto anche l’informazione generalista, almeno una consistente parte. Flotte di analfabeti scientifici, tirati su orgogliosamente da un sistema scolastico fallimentare, hanno il potere di divulgare le proprie idee su importanti mezzi di informazione, senza conoscere affatto il campo di cui stanno parlando, contribuendo a coltivare l’ignoranza arrogante di quelle che un noto critico d’arte chiamerebbe capre, ripetendolo almeno tre volte.
Non viviamo nel benessere per caso
Perché esplorare lo spazio? Perché andare su Marte con tutti i problemi che abbiamo?
Queste due domande possono essere attaccate da almeno tre fronti: uno prettamente logico, l’altro culturale e, infine, il terzo, pratico.
Dal punto di vista logico i problemi ci sono e ci saranno sempre; se smettiamo di fare tutte le altre cose prima di risolverli, ci estingueremmo. Perché comprare un telefono da centinaia di euro quando in Africa ci sono bambini che muoiono di fame? Perché andare al ristorante quando c’è gente che non ha un panino? Perché farsi una doccia al giorno quando in Africa ci sono persone che muoiono di sete? Perché comprarsi vestiti quando milioni di persone non se li possono permettere? Perché perdere tempo su Facebook quando si potrebbe andare a fare beneficenza? Perché fare l’amore con il proprio partner quando ogni giorno muoiono migliaia di bambini e si potrebbe usare il tempo in cui cerchiamo di godere a fare del bene per gli altri?
Sono domande sensate o stupide? Anche se sotto ci potrebbe essere, a volte, una sensibilità verso i problemi del mondo, il che è un bene, le domande sono stupide perché è stupido il modo in cui si affronta la questione, oltre che ipocrita. Qualcuno direbbe che sono tutti buoni samaritani con il fondo schiena degli altri. È facile criticare una missione verso Marte quando il 90% della nostra ricchezza viene sperperata in oggetti inutili, per viziarci e ingrassare come maiali al punto da non riuscire più a muoverci, vero?
Perché spendere soldi per vedere una partita di pallone, per organizzare manifestazioni sportive, per andare a vedere un film al cinema e ingozzarci di pop corn, quando nel mondo ci sono così tanti problemi e i soldi servono per sfamare gli africani? Ecco, che sensazione si prova quando demagogia e populismo si basano su fatti reali che mostrano la vostra superficialità e ipocrisia?
Dal punto di vista culturale, la ricerca, qualunque sia, compresa l’esplorazione dello spazio, è ciò che ci differenzia dalle scimmie, con rispetto parlando per loro; è un ottimo indicatore della ricchezza culturale di una società e dei suoi abitanti. E se in Italia le cose non vanno bene, con decine di migliaia di giovani laureati costretti a emigrare per ottenere un minimo di dignità, il motivo è che non si fa abbastanza ricerca. Questo è un Paese vecchio, ma non solo anagraficamente. È un Paese vecchio di idee, che si è arricchito senza migliorare il proprio livello culturale, con il risultato che il misero e umile contadino, come lo era mio nonno, si è trasformato in un bifolco arricchito e viziato, con l’idiota convinzione di essere acculturato, di avere dovere di opinione su tutto, pur non sapendo un cazzo. Un Paese di bifolchi travolto da un immeritato benessere economico e che ora si sente così potente da millantare verità su stupide scie chimiche o sui vaccini che causano l’autismo. Gli scienziati veri? Gente che non capisce nulla, nella migliore delle ipotesi. Dei patetici corrotti, al soldo dei potenti, nei casi più gravi.
Fare ricerca, fare scienza, spendere soldi per scoprire chi siamo, da dove veniamo e dove possiamo arrivare, risponde alla nostra voglia ancestrale di conoscere e di esplorare; è ciò che ha guidato la nostra intera evoluzione. Se ci fossimo fermati non saremmo qui a scrivere e a leggere su uno schermo di un dispositivo che sta nel palmo della nostra mano. Si potrebbe dire, allora, sotto questo punto di vista: a cosa serve la musica, la letteratura, l’arte, la pittura?
Il terzo punto è prettamente pratico. In fin dei conti le capre se ne infischiano della cultura, degli ideali di progresso ed esplorazione: sono contente di pasturare sempre nello stesso campo, senza mai guardare in alto per chiedersi chi sono e cosa ci fanno lì. Basta dar loro da bere, mangiare e qualche sedativo tecnologico per sprecare il proprio tempo senza dover pensare davvero al prossimo e ai problemi del mondo. La ricerca, anche spaziale, al contrario dell’abbuffata superflua di sushi del sabato sera (quanti bambini si potevano sfamare con tutto quel cibo??), ha un impatto incredibile sulle nostre vite. Se oggi stiamo bene, come ho già detto, non è un caso. Gran parte della nostra tecnologia e del nostro benessere derivano direttamente o indirettamente da pionieristici studi aerospaziali. Quelle sonde inutili mandate su Marte, sin dagli anni 60, hanno testato materiali e tecnologie che ora noi usiamo tutti i giorni e delle quali non possiamo più fare a meno. Tecnologie e soluzioni che possono risolvere anche i problemi di questo mondo, come fame e sete, se solo la politica, quindi il popolo sovrano, lo volesse davvero. La verità, cari leoni da tastiera, è che siete voi, con la vostra egoistica, miope e sommamente ignorante visione del mondo a impedire che i problemi grossi di questa Terra vengano risolti, che esista ancora la fame nel mondo, che soffochiamo sommersi dai nostri gas i scarico, che non troviamo lavoro o futuro ai nostri figli. Siete voi a comandare, purtroppo, e a decidere il futuro del mondo. Volete un esempio? Pensate all’emergenza dei migranti e come vorreste risolvere il problema di questi disperati, purché se ne restino a casa loro e non minaccino il nostro stile di vita: ipocriti!
Tutta la ricerca scientifico/tecnologica atta a superare i propri limiti obbedisce a una regola molto potente: non importa cosa si cerca, quale sia l’obiettivo del proprio sforzo tecnologico; nel lungo cammino compiuto per raggiungerlo, si conquistano decine di altri traguardi che possono rivelarsi estremamente utili per molti altri scopi.
Le ricadute tecnologiche dell’esplorazione spaziale sono così tante che sarebbero richieste decine di pagine solamente per stilare uno sterile elenco. Non voglio proporre una sterile lista, ma far capire meglio in che modo una sonda nello spazio aiuti a migliorare le nostre vite molto di più di quanto si possa immaginare, perché è facile criticare di fronte a un computer, magari alimentato a pannelli solari, pubblicando fotografie scattate con un cellulare mentre si guardano le mappe satellitari in alta risoluzione.
Da dove provengono tutte queste tecnologie?
Con il termine inglese spin-off si identificano tutte quelle tecnologie sviluppate per l’esplorazione spaziale che sono state poi adattate per essere utilizzate nella vita di tutti i giorni.
Tra le più importanti degli ultimi anni c’è sicuramente il tema dell’energia fotovoltaica.
La tecnologia dei pannelli solari è stata utilizzata fin dalle prime missioni spaziali automatiche, tranne nei casi in cui le sonde erano dirette verso le regioni esterne del Sistema Solare.
L’agenzia russa e soprattutto americana hanno effettuato importantissimi studi nel disporre di una tecnologia leggera, affidabile e sempre più efficiente dal punto di vista energetico.
I pannelli solari che abbiamo sul nostro tetto derivano direttamente da questi pioneristici studi; senza le sonde interplanetarie, probabilmente questa tecnologia sarebbe arrivata solamente tra molti anni.
Molto importante anche il campo informatico, dove il contributo della NASA è stato fondamentale.
Negli anni 60 con l’inizio del programma Apollo una grande quantità di energie fu destinata alla creazione di computer abbastanza piccoli da essere contenuti nel modulo di comando e sufficientemente potenti da pilotare l’astronave durante il viaggio verso la Luna.
Il grande sviluppo informatico, necessario per ricerca spaziale, è stato determinante per la rivoluzione informatica di massa iniziata sul finire degli anni 80.
I moderni programmi di navigazione spaziale a bordo di ogni satellite, dai GPS che guidano le nostre auto, a quelli che consentono di guardare la televisione, derivano dagli studi intensi condotti a partire dagli anni 60.
Anche nel campo medico le ricadute sono molte: dai termometri a infrarossi sviluppati per primi nelle sonde automatiche, ai nuovi materiali utilizzati per le protesi artificiali derivati direttamente dagli studi della NASA, allo sviluppo della tecnologia a diodi per la cura di alcune lesioni.
I sistemi di controllo remoto, gli stessi che consentono di attivare un allarme o un elettrodomestico con l’uso di un semplice cellulare, derivano dalla tecnologia sviluppata per il controllo di sonde a milioni di chilometri di distanza e dei rover radiocomandati su Marte.
Le fotocamere digitali che hanno reso accessibile la fotografia a chiunque e che ormai equipaggiano addirittura tutti i telefoni cellulari derivano da intensi studi e ricerche per l’efficiente ripresa e trasmissione delle immagini provenienti dalle sonde automatiche.
Le conoscenze tecnologiche accumulate e poi rese pubbliche hanno dato inizio all’inevitabile era della fotografia digitale.
I moderni pneumatici che consentono maggiore aderenza e sicurezza derivano dalle ricerche cominciate durante l’esplorazione lunare sulle mescole da utilizzare per le ruote della Jeep che è stata utilizzata dagli astronauti di Apollo 15-16-17 durante la loro missione.
Il materiale ignifugo dei vigili del fuoco deriva dallo studio sulla costruzione delle prime tute spaziali per le passeggiate degli astronauti.
I sistemi di filtraggio, purificazione e riciclaggio dell’acqua sono stati sviluppati per le missioni verso la Luna e per le lunghe permanenze degli astronauti a bordo delle stazioni spaziali e potrebbero rivelarsi fondamentali nel fornire acqua potabile alle popolazioni povere di alcune regioni dell’Africa e dell’Asia. (e qui: http://www.nasa.gov/mission_pages/station/research/benefits/water_purification.html )
Hanno fatto molto di più dei miseri ingegneri aerospaziali per risolvere la fame del mondo che tutti gli ipocriti leoni da tastiera che regalano perle di ignoranza, di cui nessuno sentiva la mancanza. La vera domanda è: ci meritiamo tutto questo benessere? È giusto, a questo punto, che poche migliaia di persone che fanno ricerca, rendano disponibili risultati e scoperte a un mondo che in gran parte non solo non capisce quello che stanno facendo, ma vorrebbe rabbiosamente rinunciare a tutto questo?
Un costo irrisorio per un progresso eccezionale
Come se non bastasse, c’è un mito da sfatare: le missioni spaziali costano troppo, meglio dirigere i soldi su altri problemi. Questa è una balla colossale: gli sprechi sono altri. Il denaro speso per le missioni spaziali è il modo più efficiente per dare lavoro e una carriera a gente qualificata e preparata, a quella folta schiera di ragazzi sognatori e laureati che ogni anno devono espatriare per vedersi riconoscere un minimo di dignità alle loro vite. Fare ricerca, anche spaziale, è l’unico modo che conosciamo per vincere i limiti imposti da questo pianeta e sperare di risolvere, osservando ed esplorando lo spazio, anche i problemi economici e sociali attuali e futuri. O davvero speriamo di poter capire come generare energia rinnovabile e a basso impatto ambientale restando chiusi in casa a osservare una lampadina spenta, evitando persino di uscire, perché bisogna risolvere questo problema? Davvero pensate che il mondo vada in questo modo? Che per riuscire a conficcare un chiodo nel muro basti osservare il muro e il chiodo per sufficiente tempo e non andare neanche in ferramenta a comprare un martello?
I 15 miliardi di dollari destinati alla NASA attualmente ogni anno dal governo degli Stati Uniti, possono sembrare tantissimi, ma rappresentano circa lo 0,2% del prodotto interno lordo del paese.
Tagliare i costi dell’esplorazione spaziale per risparmiare il 2 per mille del denaro dei contribuenti, di certo non può in alcun modo aiutare il benessere della comunità o rimettere ordine nel bilancio statale.
Se questo comunque non dovesse ancora convincere i più scettici, facciamo un paragone con altre spese, alcune di dubbia utilità, per vedere quale sia il peso relativo dell’esplorazione spaziale nell’economia di un paese.
Il termine di paragone più impressionante riguarda i costi di una guerra.
L’impegno militare in Afghanistan prima e in Iraq poi del solo governo americano ha richiesto una spesa superiore a 3000 miliardi di dollari(!) in circa 10 anni, vale a dire circa 300 miliardi di dollari l’anno. Un paragone con il programma Apollo, costato 20 volte di meno, mostra che con questo denaro si potevano lanciare sulla Luna almeno 7 astronavi l’anno per 10 anni e dare lavoro a centinaia di migliaia di ingegneri, fisici, astronomi, operai, unire l’umanità invece di dividerla, risparmiare molte vite umane e portare benessere in tutto il pianeta con le ricadute tecnologiche di un programma così ambizioso.
Un confronto con il programma Shuttle è ancora più impietoso: il denaro speso in 10 anni di guerra poteva finanziare una missione al giorno per tutto questo periodo di tempo.
Anche nel nostro piccolo paese non mancano i paragoni a effetto.
Si pensa che l’Italia sia una nazione troppo piccola per un programma spaziale?
No, è semplicemente uno dei tanti stati che considera prioritarie altre spese, che però non vengono comunicate ai contribuenti, come i famosi caccia vari governi si sono impegnati ad acquistare nei prossimi anni, per un totale di circa 15-18 miliardi di euro di spese militari in un periodo (fortunatamente) di pace.
La missione Parthinfer che ha portato su Marte il primo rover ha avuto un costo totale di 280 milioni di dollari, circa 220 milioni di euro, minore del prezzo di due di questi jet.
Con il denaro speso l’Italia avrebbe potuto mandare su Marte circa 50 rover.
Dieci euro per cinquanta milioni di italiani sarebbero sufficienti per lanciare una sonda verso Marte. Vogliamo provare a immaginare le ricadute sull’economia, l’industria e il nostro benessere a fronte di questo minuscolo investimento?
Migliaia di nuovi posti di lavoro, il rientro dei nostri giovani migliori costretti a emigrare per realizzare i propri sogni, il richiamo dei grandi investitori esteri e l’instaurarsi di un’economia tecnologica che farebbe diventare il nostro paese ai primi livelli nel mondo.
Pochi miliardi di euro nella giusta direzione sarebbero trasformati in un investimento che potrebbe fruttare oltre 10 volte tanto in meno di dieci anni, se consideriamo il lato puramente economico.
Tutto questo in uno scenario in cui dovessimo fare tutto da soli. Nella realtà l’Italia fa parte dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e i costi sono quindi da dividere per 22 paesi partecipanti e centinaia di milioni di persone. Ecco allora che una missione complicata come Rosetta, i cui costi sono simili a quelli della missione ExoMars attuale e di quella che verrà lanciata nel 2020 insieme, è costata ai cittadini europei circa 3 euro e mezzo in 19 anni: 20 centesimi l’anno. Ma quando apriamo la bocca dicendo che le missioni spaziali costano troppo, abbiamo una minima idea di quello che stiamo dicendo?
Alla fine di questo lungo post, ripetiamo allora insieme la domanda per eccellenza: perché andare su Marte quando qui c’è gente che muore di fame? Perché stiamo facendo più noi scienziati spedendo una lavatrice su un pianeta deserto, per tutti voi, che chiunque mentalmente limitato e comodamente seduto sul proprio divano abbia il coraggio di porsi una domanda del genere, senza che un brivido di vergogna attraversi il suo corpo. La domanda giusta è, ancora una volta: ce lo meritiamo tutto il progresso e la ricerca che sta portando avanti un pugno di uomini sognatori per tutta l’umanità, quando questa ha una visione tanto distorta e differente della realtà e del futuro?
Qualche link per approfondire:
Il sito della NASA dedicato a tutte le tecnologie spaziali utilizzate per la vita di tutti i giorni: http://spinoff.nasa.gov/
Una divertente applicazione per scoprire quali materiali e tecnologie derivati dall’esplorazione dello spazio contiene la nostra casa e la nostra città: http://www.nasa.gov/externalflash/nasacity/index2.htm
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